Perché chiamato “Doss di Mort” – Nell’anno 1630 il terribile flagello della peste contagiò oltre al Milanese e ai territori della Brianza, tutti i paesi rivieraschi del nostro lago. All’ingresso e all’uscita dei paesi venivano posti dei cancelli o eretti dei muri per evitare il passaggio di appestati da una zona all’altra, nella speranza di evitare una maggiore propagazione del morbo. Gli abitanti della Brianza si rifugiarono in campagna, mentre quelli della nostra zona si portarono in montagna. I Moltrasini si recarono nella zona degli alpeggi di Moltrasio (Alpe Segree, Alpe Grosso, Alpe di Urio, Alpe di Carate). Purtroppo questo loro fuggire dal paese non li risparmiò dal contagio e in questi alpeggi trovarono la morte. La loro sepoltura avvenne ad una certa distanza dal luogo dove avevano stabilito la loro nuova dimora e precisamente nella zona chiamata poi, per questo motivo, Doss di Mort. Il Gruppo Alpini di Moltrasio, legato alle tradizioni, alla storia del proprio paese e attento ai grandi eventi del tempo contemporaneo, ha deciso nell’anno 2000, anno del grande Giubileo, di solennizzare questo avvenimento onorando e ricordando i Moltrasini sepolti al Doss di Mort posizionando una croce in acciaio alta 250 cm. e costruendo, con le pietre del luogo, un’altare. Sulla croce è stata posta una piastra in bronzo con incisa la scritta:
Associazione Nazionale Alpini – Gruppo di Moltrasio – nell’anno Giubilare 2000 a ricordo dei Moltrasini morti causa il flagello della peste nell’anno 1630 che in questo luogo trovarono sepoltura. (4 novembre 2000).
Il giorno stesso Don Bartolomeo Franzi ha benedetto la croce e l’altare recitando una preghiera di suffragio. Con questo atto la località è divenuta luogo sacro. Alla base della croce, il Capogruppo Porro Gianmario ha inserito in un bussolotto, successivamente murato, una pergamena con la seguente dicitura:
Gli Alpini del Gruppo di Moltrasio e alcuni loro amici collocando questa croce, benedetta il giorno 4 novembre dell’anno Giubilare 2000 da Don Bartolomeo Franzi, Parroco di Moltrasio, hanno inteso ricordare alla nostra generazione, e a quelle che verranno, una pagina della storia del nostro paese per onorare i morti che in questa località trovarono sepoltura perché colpiti nel 1630 dal flagello della peste che imperversò anche nel nostro territorio.
Il Consiglio degli Alpini Moltrasini stabilì che ogni 1° maggio a partire dall’anno 2001, si celebri in loco una Santa Messa di suffragio.
Come si raggiunge – Si parte dal Rifugio Bugone; da questa località si diramano due sentieri: si prende quello a sinistra leggermente in discesa, lo si percorre fino ad incrociare una carrareccia pianeggiante che si trova sulla destra, ci si immette e da qui l’itinerario ben tracciato porta all’Alpe Grosso, più conosciuta come Alpe di Moltrasio. Tempo di percorrenza un’ora circa. Arrivati all’Alpe, sulla sinistra della casa, trovi dei gradini che portano diritto ad un sentiero in discesa abbastanza distinguibile e segnalato con frecce, che corre lungo il costone e in 20 minuti si raggiunge il Doss di Mort dove è collocata una croce in acciaio, un altare in sasso e delle pietre il cui posizionamento fa pensare a delle tombe comuni. La risalita verso l’Alpe di Moltrasio richiede una buona mezzoretta.
BREVI CENNI SULLA PESTE NEL MONDO E NEL NOSTRO TERRITORIO
La peste è nota almeno da 3000 anni. In Cina si sono registrate grosse epidemie fin dal 224 avanti Cristo. Nel Medioevo la malattia si è presentata in enormi pandemie che hanno distrutto le popolazioni di intere città. In seguito si sono verificate in modo più sporadico e l’ultima risalente al 1894 si è sviluppata in Cina da dove si è diffusa in Africa, nelle isole del Pacifico, in Australia e Americhe raggiungendo S. Francisco nel 1900. La peste è tuttora presente in Asia, In Africa, Sud America e Australia (dove esistono i cosiddetti serbatoi della peste), ma compare raramente in Europa o in Nord America. Nel 1950 l’organizzazione mondiale della sanità ha dato inizio in tutto il mondo a programmi sanitari per il controllo della peste. Nelle culture greco-latine con il termine peste si designarono a lungo e genericamente tutte le malattie epidemiche a carattere letale. I greci associavano alla parola loinos, oltre al significato di peste, anche quello di carestia dato che il contagio colpiva più duramente coloro che si trovavano sprovvisti di difese fisiologiche a causa di lunghi digiuni. I latini, invece, derivarono la parola pestis da peius ovvero peggiore, per indicare appunto la peggiore malattia.
La peste colpì la città di Milano negli anni 1629-1630; il flagello ridusse ad un quarto la popolazione della città. Manzoni le dedicò la “Storie delle colonne infami” e le celebri pagine dei “Promessi sposi”.
La peste colpì ricchi e poveri senza distinzione. L’avanzata dell’epidemia portò il panico; la gente si evitava anche tra i famigliari; molti abitanti della città scapparono in campagna e così facendo diffusero ancor più la malattia; mancò il cibo perché la terra non venne più lavorata e i campi si riempirono di animali.
Ricordiamo questa peste perché colpì, come detto, tutti i paesi rivieraschi del nostro lago e, pur non avendo documentazione chiarificatrice, è certo anche Moltrasio. Il contagio arrivò in primavera. La peste venne portata nelle nostre zone con la calata dei Lanzichenecchi, soldati mercenari tedeschi al servizio, in Italia, di principi e repubbliche. La discesa in Italia di queste soldataglie avvenne agli inizi del mese di settembre del 1629 passando dalla Valsassina. Erano comandati dal Principe di Collalto ed erano diretti nel mantovano per combattere contro il Duca di Ninversa. Furono causa del contagio dapprima nella valle e nel territorio di Lecco, che poi si allargò nella campagna della Brianza, del milanese e poi nel territorio del nostro lago. Nell’inverno del 1629 il terribile male aveva manifestato la sua presenza anche nella Valle Maggia a Pollegio sopra Bellinzona.
Per gli uomini del 1600 la peste era qualcosa di misterioso e terrificante, più che una malattia un castigo del cielo. Nella rubrica di un notaio, certo Baldo Cattaneo, è scritto: il suddetto anno 1630 sarà eternamente memorabile perché fummo visitati con li tre maggiori flagelli che suole mandare la Divina Provvidenza per correzione dei peccatori e cioè Guerra – Moria et Carestia.
Non era noto a quell’epoca alcun rimedio di sicura efficacia tanto che si trova scritto quanto diceva l’Arciprete Bertarelli di Menaggio: appena scopri il male fuggi, ritirati, il sospetto si reputi verità. Lasci il tutto, né ritornare prima che lunga pratica ti assicuri dell’estirpazione del morbo (Non parlo però per i Curati che devono usare le proprie forze e debite diligenze). A tal riguardo si sa che parroci e dottori furono i primi a trovare morte rimanendo fedeli alle anime, distinguendosi per le sollecitudini e il coraggio. Ad esempio si è a conoscenza che nella città di Como si salvarono soltanto l’Arciprete Rezzonico del Duomo di Como e il Curato di S. Benedetto. Si ha però notizia che venivano usati alcuni rimedi preventivi, purtroppo di nessun effetto, quali: “l’agro di cedro, l’orvietano, l’aceto con la rutta capraria, il vin buono e, passando a vere applicazione mediche, li vescicatori nelle gambe et nelli bracci per divertir gli humori et la triaca quando non vi era febre acciò si facesse l’espulsione in caso di sospetto di essere infetto”. Inoltre veniva raccomandato l’uso delle purghe perché il veleno del male si attaccava solamente “nell’humori cattivi”. Si specifica che l’agro di cedro era il sugo di cedro, l’orvietano era un elettuario, cioè una miscela di vari ingredienti come il miele addensato e una parte di Orvieto, creduto atto a guarire molte malattie; la rutta capraria, erba perenne, la triaca medicina, rimedio universale composto, secondo l’Arte dello Speziale di Francesco Serena, di sessantun ingredienti tra cui pasticche formate con carne di vipere femmine.
I moltrasini accolsero l’esortazione dell’Arciprete di Menaggio e si rifugiarono nella zona degli alpeggi (territorio compreso tra il Bugone, l’Alpe Segree e l’Alpe di Urio), ma la fuga non servì a nulla perché l’arrivo di altri compaesani, già appestati, portò il morbo anche in quei luoghi. Ivi trovarono morte e sepoltura in fosse comuni, in località in seguito chiamata DOSS DI MORT situata a 20 minuti circa scendendo dall’Alpe Grosso o Alpe di Moltrasio. Si presume che gli abitanti di Carate fuggiti dal paese, trovarono sepoltura in località MORTIROLO che sta alle spalle dell’Alpe di Carate, e dove, ancora oggi in occasione dell’annuale pellegrinaggio al vicino Oratorio di San Bernardo (20 agosto) il parroco sosta in questa località per impartire la Santa Benedizione. Lo storico, (e parroco di Carate dal 1899 al 1928), don Pietro Buzzetti riferisce che “la tradizione narra di una catastrofe colà avvenuta per sprofondamento del terreno con fine letale di chi abitava la cassina dell’alpe; la storia nulla sa precisare”. Non siamo a conoscenza se tale Benedizione venga impartita per i morti della catastrofe naturale o per i morti della peste. Il nome “Mortajrollo” appare infatti già nel documento di acquisto di tale alpeggio da parte del comune di Cavaleo (Carate) e datato 2 agosto1284.
Dalle registrazioni conservate nell’archivio parrocchiale non è possibile ricavare dati precisi in merito a quello che avvenne a Moltrasio e alla mortalità della popolazione. Le prime notizie si rilevano nel 1632 quando la peste ormai aveva terminato il suo funereo cammino. Questa mancanza di notizie fa pensare che tutti i documenti di quegli anni (1629 -1630) siano stati distrutti per evitare possibili ulteriori contagi conseguenti la consultazione di certificati compilati e sfogliati da persone infettate; come pure si può ipotizzare la morte del parroco, l’unica persona che si preoccupava dell’annotazione di quanto avveniva, continuamente a contatto con gli appestati, oppure impegnato in mansioni più necessarie. Comunque si prende nota che nel 1632 gli abitanti di Moltrasio erano 177 e che negli anni immediatamente successivi il numero aumentò notevolmente (dati dedotti dal libro “Moltrasio” di Francesco Montini). Anche queste informazioni fanno riflettere sul fatto che la popolazione negli anni antecedenti sia stata ben superiore e poi dimezzata dal morbo. Possono essere presi come riferimento alla precedente considerazione quanto scrive Rovelli nella storia di Como che calcola il numero dei defunti della peste in 8000 e dice che la città fu dimezzata nel numero dei suoi abitanti e quanto scrive in data 19 settembre 1630 Padre Girolamo da Vigevano al Padre Guardiano dei novizi Cappuccini di Vigevano: “s’intende che Como viene malissimamente trattato dal contagio ed è quasi disabitata per i morti et i fuggiti in modo che si sono anco aperte le prigioni” (Archivio di Stato, Milano, atti dei Cappuccini, cart. 17 pag. 59 di un registro). Singolare è l’affermazione di Cencio Poggi in merito alla proporzione delle morti fra i due sessi: egli si pronuncia per un maggior numero di donne morte rispetto agli uomini.
La prova che anche Moltrasio non fu risparmiato è il voto fatto alla Madonna del Bisbino dai superstiti con la processione che da allora si ripete ogni anno il 2 luglio. Durante questa celebrazione il parroco indirizza la benedizione sui prati della montagna di Moltrasio invocando un raccolto abbondante protetto dalle intemperie e dalle pestilenze (la memoria corre alla carestia che accompagnò la peste) e si rivolge pure al Doss di Mort per l’assoluzione dei defunti.
Per inciso nel 1630 i parrocchiani di Rovenna espressero voto alla Vergine del Bisbino perché, rifugiatisi lassù, mentre nei paesi limitrofi la peste decimava gli abitanti, essi solo furono preservati incolumi dal fiero morbo. Tale grazia fu loro concessa come pure gli abitanti di Sagno e a molti individui che alla Madonna del Bisbino si erano votati, fra questi il Vescovo Carafino, che riconoscente, attestò la sua gratitudine salendo al monte per celebrarvi la S. Messa (notizia desunta da un articolo di Gilberto Bossi su Terra Ticinese).
Sono note alcune regole che i signori Deputati della Sanità dovevano far rispettare nei vari paesi per la protezione degli abitanti con il collocamento di cancelli detti allora rastelli che impedivano l’entrata ai forestieri. A conferma ne è testimonianza il nome di una frazione di Carate e cioè Lestresio, ai tempi chiamata Rostalese, poi Restresio ed infine con maggior scorrezione Lestresio derivante dalla voce dialettale “RASTEL” (cancello). Si riportano altre regole al fine di evitare un maggiore contagio, ricavate dal libro di Cencio Poggi: “Alcune notizie intorno alla peste del 1630 in Como”:
1. Non admetteranno persona alcuna di qualsivoglia stato, grado et condizione se prima non haverano mostrato le loro bollette alli deputati d’essa terra sotto pena arbitraria at essi deputati, avertendo che prima di ricever bollette che l’habbino da profumare et fare le sue opportune diligenzie sotto pena parimenti come sopra.
2. Che abbino detti guardiani al sono del Ave Maria d’haver consegnato le chiavi de resteli nelle mani d’uno dei detti deputati.
3. Che niuna persona e particolarmente pescatori non possino sortir fori dal molo senza consignarsi prima ad uno dei deputati dal quale avera licenza.
4. Che niuno al di sotto di quindici anni possi essere admesso alla guardia che si fa giornalmente tanto al rastelo quanto al molo e che niune donne possi essere admesse a detta guardia.
5. Che niuno dopo che sarà respinto ai rasteli et muri possa entrare per altre parti.
6. I signori Deputati sono comandati di visitare ogni notte le guardie per vedere se sono diligenti nel loro offitio.
Era nostro desiderio ricordare questa pagina triste e dolorosa della storia del nostro paese ritenendo che essa non vada dimenticata, ma onorata.
Essa fa parte di quel patrimonio di cultura, di tradizioni costellato sì di privazioni, di sacrifici, ma ricco di tanti insegnamenti, di tanti valori che il mondo piano piano, giorno per giorno, va smarrendo. Purtroppo, come ricordato, la pochezza di documenti relativi a quell’epoca non ci ha permesso di essere dettagliati per Moltrasio. Abbiamo pertanto riportato anche alcune notizie attinenti ad altri paesi del territorio lariano reputandole, data la loro vicinanza, valide pure per Moltrasio.
GRUPPO ALPINI MOLTRASIO
Aprile 2001